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Grignolino

Il Grignolino è una varietà di uva a bacca rossa che rientra nella storia più gloriosa dei vitigni autoctoni piemontesi e che in passato veniva prodotto come il rosso delle occasioni importanti, al pari dei più acclamati Barolo e Barbaresco. Originario del Monferrato, deve il suo nome al termine dialettale “grignòla”, che identifica i vinaccioli, presenti in gran numero nell’acino. Può essere d'Asti, quando prodotto nell'omonimo territorio, o del Monferrato Casalese, quando viene prodotto nei dintorni di Alessandria. Regala in purezza un rosso poco colorato, quasi scarico e con un grado alcolico relativamente basso, ma con un bouquet intenso e variegato che oscilla da note di fiori ed erbe fino ai frutti rossi e alle spezie, quando affinato in botte. Una piccola perla da riscoprire.

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2 -@@-1-Gambero Rosso
95 -@@-11-Luca Maroni
87 -@@-5-Veronelli
3 -@@-2-Vitae AIS
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2 -@@-6-Slowine
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Il Grignolino è una varietà di uva a bacca rossa che rientra nella storia più gloriosa dei vitigni autoctoni piemontesi e che in passato veniva prodotto come il rosso delle occasioni importanti, al pari dei più acclamati Barolo e Barbaresco. Originario del Monferrato, deve il suo nome al termine dialettale “grignòla”, che identifica i vinaccioli, presenti in gran numero nell’acino. Può essere d'Asti, quando prodotto nell'omonimo territorio, o del Monferrato Casalese, quando viene prodotto nei dintorni di Alessandria. Regala in purezza un rosso poco colorato, quasi scarico e con un grado alcolico relativamente basso, ma con un bouquet intenso e variegato che oscilla da note di fiori ed erbe fino ai frutti rossi e alle spezie, quando affinato in botte. Una piccola perla da riscoprire.

Un piccolo e antico gioiello tra i grandi re del Piemonte

Il nome Grignolino deriva molto probabilmente dall’espressione dialettale “grignòla” che significa letteralmente vinaccioli, presenti in grande quantità all’interno dell’acino. Un’altra ipotesi, meno accreditata, fa risalire il suo nome al verbo piemontese “grigné”, che vuol dire ridere. Infatti per il suo carattere schietto e gioioso è un rosso che rallegra e mette serenità.

Si tratta di un’uva rossa originaria e diffusa principalmente nelle aree del Monferrato e dell’astigiano. In piccola parte viene anche coltivata nelle Langhe e non è presente in nessun’altra zona d’Italia, a parte qualche piccolo caso in Lombardia, ritagliandosi così un posto rilevante tra le molteplici varietà di uve autoctone coltivate sul territorio italiano.

Le sue origini si perdono nel passato e sembra che alcuni secoli fa fosse conosciuto con il nome di Barbesino in Piemonte e in alcune zone dell’Oltrepò Pavese. Un atto notarile del 1246 della chiesa di S. Evasio, che rappresenta ufficialmente la prima testimonianza scritta, confermava la presenza delle “viti Barbesine” nella Val Valisenda, terra rinomata per la viticoltura. Col passare degli anni la sua produzione crebbe in modo esponenziale e i vini rossi prodotti da tale varietà entravano nelle corti dei re e nelle nobili dimore dei borghesi. Infatti fino ai primi anni del ‘900 era considerato un rosso di altissima qualità, allo stesso livello dei prestigiosi Barolo e Barbaresco. Purtroppo, come molte altre varietà italiane, molte sue tracce si persero con l’arrivo della catastrofica fillossera, un insetto che rischiò di distruggere tutto il patrimonio vitivinicolo europeo. La sua resistenza a questa epidemia era molto bassa e così diversi contadini decisero di abbandonarlo e di investire su varietà più resistenti. In più, proprio in quegli anni plasmati dal gusto internazionale, questo atipico vitigno, difficile e dalla bassa resa, perse tutto il suo mercato e cadde nella cerchia di quei rossi dimenticati, soppiantati da vini rotondi e industriali, vere esplosioni di frutta. Per fortuna quest’onda che investì il mondo si allontanò nel giro di qualche anno, lasciando a galla qualche piccola produzione che follemente resistette alle basse richieste commerciali.

Ad oggi la superficie vitata conta appena l’1% di tutto il territorio piemontese e la sua rinascita è avvenuta soltanto negli ultimi decenni, grazie alla stima del grande Veronelli e alla ricoperta da parte di alcuni produttori. Così questo rosso è uno dei vini piemontesi più tipici e caratteristici, un tesoretto rispolverato dal grande passato che comincia a vivere la sua nuova giovinezza.



Abbinamenti e caratteristiche

Coltivato in soli 1000 ettari in circa trenta comuni in provincia di Asti. Questa varietà concorre a realizzare due importanti DOC: Il Grignolino d’Asti e Grignolino del Monferrato Cesalese. Il primo nasce sui territori sabbiosi dell’astigiano ed è più semplice e immediato, mentre il secondo affonda le radici nei suoli di matrice calcareo-marnosi del casalese e risulta più profondo e complesso. Si tratta di un’uva povera di antociani, i pigmenti colorati, e ricca di tannini, dovuti alla forte presenza di semi nell’acino. Ha una bassa resa ed è facilmente sensibile a malattie e trattamenti.

In generale, a causa della sua semplicità di beva e del suo scarico colore rosso era definito da Veronelli come “il più rosso dei bianchi e il più bianco dei rossi”. Il miglior Grignolino ricorda in parte il Pinot Nero per quel lato poco colorato e per quel corpo ricco di tannini e dotato di grande delicatezza. Al naso svela, però, un ventaglio aromatico stratificato e ampio in cui sfilano note fruttate, speziate, erbacee e floreali, creando un turbinio di sensazioni uniche e singolari. Il gusto è snello e diretto, dotato di una buona carica tannica, di una bassa dotazione alcolica e di un’accesa freschezza. Da servire anche a temperature più basse nelle caldi giornate d’estate. Per conoscere meglio questo rosso consigliamo di provare il Grignolino Gaudio che riassume appieno tutte queste caratteristiche.

Per la sua forte capacità sgrassante si presta particolarmente per l’ora dell’aperitivo assieme a stuzzichini, formaggi grassi e tranci di pizza. Consigliamo di aprire una bottiglia affiancandolo a un piatto di salumi e affettati locali come la muletta (salame del Monferrato), la bresaola di cervo, la mustardela (salsiccia simile al sanguinaccio), il bisecon (salume di trippa), il prosciutto crudo della Val Vigezzo e la mortadella della Val d’Ossola. Da azzardare anche con piatti saporiti a base di pesce come le sarde o fritture miste. Le versioni più evolute si abbinano a piatti tipici come gli agnolotti freschi con ripieno di arrosto, risotto con porcini, fritto misto piemontese e carni bianche ben condite.

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